mercoledì 7 aprile 2010

Quanto ci costa la benzina.


Mentre il prezzo della benzina vola abbondantemente sopra l'1,40 euro al litro per meri motivi speculativi e non di mercato in senso stretto, il sito dell'ADUC (www.aduc.it) ha ricordato cosa paghiamo, insieme alle sette sorelle (che piuttosto, dovrebbero essere ribattezzate 'le tre madri'...), di 'tasse' sul prodotto petrolifero puro:

* 1,90 lire per la guerra di Abissinia del 1935;
* 14 lire per la crisi di Suez del 1956;

* 10 lire per il disastro del Vajont del 1963;

* 10 lire per l'alluvione di Firenze del 1966;

* 10 lire per il terremoto del Belice del 1968;

* 99 lire per il terremoto del Friuli del 1976;

* 75 lire per il terremoto dell'Irpinia del 1980;

* 205 lire per la missione in Libano del 1983;

* 22 lire per la missione in Bosnia del 1996;

* 39 lire (0,020 euro) per il rinnovo del contratto degli autoferrotranviari del 2004.

Il tutto per 486 lire, cioe' 0,25 euro (circa 1/5 del costo totale).

Ora, mi chiedo: perchè, su ogni ricevuta che ci rilascia (?) il benzinaio,non sono ricordate sempre ed analiticamente tali voci? Vorrei vedere la faccia di tutti quelli che, tornando cantando dal rogo 'semplificatorio' del ministro Calderoli, leggendo lo scontrino, tornano indietro chiedendo qualche spiegazione...
Secondo me sarebbero parecchi.

giovedì 25 marzo 2010

Vittime di Tangentopoli

Ad Aulla, in provincia di Massa e Carrara, in Piazza Gramsci, hanno eretto un obelisco dedicato 'alle Vittime di Tangentopoli' (link al titolo).
Ora, di per sé tale iniziativa sarebbe certamente onorevole, ma se ci avvicinassimo un pochino, invece di leggere delle dediche, chessò, 'ai contribuenti italiani', o 'alla minoranza degli onesti cittadini', ovvero 'al coraggio dell'ignoto pagatore di tasse', ovvero ancora 'all'imprenditore che non ha mai pagato mazzette', ci ritroviamo di fronte, invece, a due belle frasette degli Onorevoli ('Onorevoli') Sergio Moroni e Bettino Craxi. Il primo si uccise nel '92, lasciando una lettera in cui si dichiarava colpevole (pur dicendo di aver rubato non per sé, ma per il partito). Il secondo, come tutti sanno, condannato a più di 22 anni di detenzione in 5 processi per tangenti, corruzione e concussione, morirà da latitante (per non espiare la pena) ad Hammameth, Tunisia, dove era scappato poco prima che gli ritirassero il passaporto per pericolo di fuga.
Dopo un attimo di riflessione, sono però riuscito a capire il perchè gli hanno eretto un monumento: perchè, in una maniera o nell'altra, se ne sono andati da questo Paese di Bengodi.
E noi no.

sabato 28 marzo 2009

Il Partito della Libertà è una cosa seria.

No, davvero. Nonostante la quasi totalità della stampa di 'sinistra' si sia limitata, oggi, ad evidenziare la autoreferenzialità del Partito di Berlusca ('il partito di io', ha intitolato 'il manifesto'), purtroppo non è chiudendo gli occhi, o tanto meno alzando le spalle in un vezzo stizzoso e borghese, che la sinistra (o il Pd, o insomma l'opposizione) farà fronte alla imponente macchina da guerra berlusconiana. Che, cominciamo col dire, dopo la fusione con AN oramai solo berlusconiana non può certo definirsi.
Ieri pomeriggio sono rimasto davvero sbigottito dal discorso di Berlusconi (ho messo il link nel titolo): sembrava un 'blob' di 15 anni di Forza Italia, immutato anno dopo anno, 'gaffe' dopo 'gaffe', errore dopo errore... Eppure granitico, ipnotico, una specie di mantra...
Gli unici riferimenti politici? 1) Don Luigi Sturzo; 2) Alcide De Gasperi.
Poi, per storia personale: Pinuccio Tatarella e Bettino Craxi. Ah si, e un riferimento generale ai padri liberali della storia americana.
Quindi: liberalismo o piuttosto nuova Democrazia Cristiana?
Ma secondo me non è questo l'aspetto più preoccupante del nuovo (?) progetto politico.
Ciò che personalmente mi fa impressione è invece la costruzione di una vera e propria 'neo-lingua', nella quale, con evidenti distorsioni storiche, politiche e lessicali:
1) la 'libertà' è condizione umana 'naturale', senza fondamento nel suo riconoscimento giuridico e politico;
2) esistono sempre e comunque 'i comunisti' (e non franceschini, ma pol pot, stalin e mao) che rappresentano i 'nemici' della libertà;
3) lo Stato non si capisce bene a cosa serva, forse per 'ordine' e 'disciplina';
4) la 'dignità' della persona, con la sua 'libertà', viene riconosciuto 'valore fondamentale', salvo poi fermarsi a condizioni di vita essenziali, come quella della propria autodeterminazione in caso di malattie (testamento biologico);
5) la Costituzione non è, in realtà, stata voluta e votata dalle forze popolari cristiane e socialiste del dopoguerra, bensì dalle forze liberali del premier o dal Movimento sociale;
6) Mani Pulite è stato un momento di eversione politica attuato da alcune 'forze della magistratura';
7) Bettino Craxi, invece che un latitante, è un martire della nuova libertà...
8) Lo Stato dev'essere laico ma non 'laicista' (?), tanto da permettere alla Chiesa di poter fare, in parlamento, il bello e cattivo tempo, oltre che di sconfessare verità s,cientifiche evidenti (e non solo Galileo 400 anni fa, ma anche Darwin, il condom, le cellule, i feti e così via...);
9) Ci deve essere Giustizia (ah bene...), ma non 'Giustizialismo': questa la devo ancora capire;
10) E' giusto essere Ambientalisti, ma non 'fondamentalisti': tanto da non incapponirsi con la realizzazione del programma di Kyoto;
11) ...
Abituiamoci, chi di noi si sente di 'sinistra', a dover render conto di tali evidenti assurdità nei confronti dei nostri conoscenti (amici, colleghi, vicini...), e senza bollarle sciovinisticamente come 'panzane'... Perché saranno sempre di più coloro che, in buona o cattiva fede, avranno bisogno anche delle nostre versioni dei fatti per mantenere gli occhi aperti. E questi fatti dobbiamo essere capaci di ri-dimostrarli, di ri-comunicarli e di ri-empirli di valore, senso e, soprattutto, storia.
Dio non esiste, neanche il nostro... (continua)

martedì 3 marzo 2009

... e anche da qui (cliccami!)

... e questa mi sa che è sfuggita anche a Beppe Grillo: chi dovrebbe controllare, da chi dovrebbe essere controllato...?

Riprendiamo da qui... (cliccami!)

Ecco, dopo un po' di silenzio, si riprende da quello che potrebbe essere un novello 'esercito delle 12 scimmie'...
Con la differenza che, nella realtà, non si potrà tornare indietro (e non certo per colpa di Brad Pitt...).
A rileggerci a presto.

martedì 10 febbraio 2009

Anzi no, da oggi! - 3

E finiamo, per ora, con il Rodotà (giurista, ex Garante della Privacy) di tre giorni fa...

Giornata nera per la Repubblica
da La Repubblica del 07.02.09
di Stefano Rodotà

È una pessima giornata per la Repubblica. Siamo di fronte ad un conflitto costituzionale davvero senza precedenti.

E cioè ad un governo che sfida il Presidente della Repubblica che si era fatto fermo difensore delle ragioni della Costituzione e dei diritti fondamentali delle persone. La gravissima decisione del Governo di intervenire con un decreto nella vicenda di Eluana Englaro, dopo che Giorgio Napolitano aveva pubblicamente motivato le ragioni del suo dissenso, sovverte gli equilibri istituzionali, apre una fase in cui si va ben oltre quella "tirannia della maggioranza", di cui ci ha parlato in modo eloquente il liberale Alexis de Tocqueville, e si entra in una "terra incognita" dove la partita politica è dominata non dal senso dello Stato, ma dalla brutale volontà del presidente del Consiglio di offrire rassicurazioni agli esponenti di una potenza straniera a qualsiasi costo, anche quello dello sconvolgimento della stessa democrazia costituzionale.
È così, anche se una affermazione tanto netta può sembrare brutale. Con una sola mossa vengono colpiti molti bersagli. La Costituzione, unica carta dei valori democraticamente legittimata, vera "Bibbia laica", viene travolta per porre al suo posto un´etica di Stato attinta ai diktat delle gerarchie vaticane (non a un sentire diffuso nello stesso mondo cattolico, che alla vicenda di Eluana Englaro si è avvicinato con rispetto e pietà). La sovranità del Parlamento viene ulteriormente mortificata, perché ad esso si nega la prerogativa d´essere il luogo privilegiato per discutere e decidere quando si tratta di diritti fondamentali. L´autonomia della magistratura scompare nel momento in cui si cancellano le sue decisioni con un atto d´imperio, creando un precedente devastante per la sopravvivenza stessa di un brandello di Stato di diritto. I diritti fondamentali delle persone non sono più affidati alla garanzia della legge, ma alle pulsioni delle maggioranze.
Ma il bersaglio maggiore è proprio il Presidente della Repubblica, che mai come in questo momento incarna limpidamente la sua funzione di massimo garante della Costituzione. Ispirandosi al principio della "leale collaborazione" tra gli organi dello Stato, Giorgio Napolitano aveva nei giorni scorsi manifestato al governo le sue perplessità su un decreto che, rendendo impossibile l´esecuzione di una decisione della magistratura, si esponeva evidentemente al rischio dell´incostituzionalità. Quando è stato reso noto il possibile contenuto del decreto, che alcune contorsioni interpretative rendevano ancor più inaccettabile (la sentenza n. 334 del 2008 della Corte costituzionale ha chiarito che la competenza in materia spetta alla magistratura), il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al presidente del Consiglio per ribadire il suo punto di vista, con un atto di straordinaria trasparenza e responsabilità, reso necessario proprio dall´eccezionalità della situazione e dall´emozione con la quale viene seguita una vicenda così drammatica. Mai come in questo momento l´opinione pubblica ha bisogno di chiarezza, di comportamenti istituzionali immediatamente decifrabili, e non dell´eterno gioco dei sotterfugi, dei percorsi obliqui. Dopo la forzatura dell´atto di indirizzo del ministro Sacconi, rivelatosi privo di una pur minima base giuridica, diveniva ancor più evidente la necessità di seguire percorsi costituzionalmente impeccabili. La lettera di Napolitano è la testimonianza di un scrupolo istituzionale raro, di un rigore argomentativo al quale nessuno dovrebbe sottrarsi.
Nelle sue dichiarazioni, invece, il presidente del Consiglio rivela una distanza abissale dalla logica costituzionale, una concezione proprietaria della decretazione d´urgenza che, a suo dire, sarebbe completamente sottratta a qualsiasi valutazione da parte del Presidente della Repubblica. Tesi costituzionalmente non proponibile, come nella sua lettera aveva già chiarito il Presidente della Repubblica con indicazioni che Berlusconi volutamente ignora, passando addirittura alle minacce: dichiara, infatti, che, se non gli viene consentito di usare i decreti legge a suo piacimento, cambierà la Costituzione. Così, com´è sua collaudata abitudine, schiera se stesso e le sue troppo docili truppe per un nuovo e devastante assalto alla legalità, seguendo il suo collaudato copione plebiscitario che lo porta addirittura ad ignorare quali siano le procedure per la revisione costituzionale, visto che afferma che ritornerebbe "dal popolo a chiedere un cambiamento della Costituzione". Mai dichiarazione fu più rivelatrice di questa. La Costituzione non è la regola delle regole, ma un impaccio di cui ci si può tranquillamente liberare. La rottura costituzionale è dichiarata.
Così Berlusconi gioca il governo contro il Presidente della Repubblica e si prepara a rendere concreta un´altra minaccia. Visto che il Presidente della Repubblica ha già dichiarato che non firmerà un decreto "incostituzionale", porterà in Parlamento un disegno di legge sul testamento biologico da approvare in tre giorni. Così gioca il governo anche contro il Parlamento, esplicitamente declassato dal Principe a buca delle lettere, a luogo dove la sua volontà dev´essere ratificata senza discussione.
Si apre, dunque, una fase in cui al grande tema del morire con dignità si affianca quello, grandissimo, della difesa della Costituzione. Immediata, allora, diventa la responsabilità di tutte le forze politiche, degli organi istituzionali chiamati ad una pubblica assunzione della responsabilità loro propria, come ha già fatto, dimostrando senso dello Stato e della legalità, il Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Responsabilità tanto maggiore in quanto, sia pure attraverso il discutibile strumento dei sondaggi, l´opinione pubblica si è espressa, dichiarandosi per il 79% a favore del morire dignitoso di Eluana Englaro e addirittura per l´83% a favore di una Chiesa che parli alle coscienze e non pretenda di imporre la fede attraverso gli atti del legislatore. Torna qui alla memoria il diverso spirito dei cattolici democratici, che si coglie nelle parole dette da Aldo Moro al consiglio nazionale della Dc all´indomani della sconfitta nel referendum contro la legge sul divorzio, nel 1974, con le quali si metteva in guardia contro le forzature «con lo strumento della legge, con l´autorità del potere, al modo comune di intendere e disciplinare, in alcuni punti sensibili, i rapporti umani»; e si consigliava «di realizzare la difesa di principi e valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi, e cioè nel vivo, aperto e disponibile tessuto della nostra vita sociale». Ma il limite all´intervento del legislatore non trova il suo fondamento solo in ragioni di opportunità. Ricordiamo le parole alte e forti con le quali si chiude l´articolo 32 della Costituzione, dedicato al fondamentale diritto alla salute, dunque al governo della propria vita: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». È proprio questo il caso di Eluana Englaro e di tutti coloro che vorranno liberamente decidere sul loro morire. Vi è un confine costituzionale che il legislatore non può varcare � né con decreti legge, né con altri strumenti normativi � oltre il quale compare la persona con la sua autonomia e la sua libertà.
Quei sondaggi, allora, sono un monito e una risorsa. Un monito alle forze politiche, che di quei cittadini dovrebbero essere consapevoli interlocutori. E si tratta di una risorsa che sono gli stessi cittadini a dover utilizzare, levando forte la voce perché la forzatura istituzionale non passi. Nessun dialogo, nessuna collaborazione politica possono svilupparsi in panorama disseminato da macerie istituzionali.

Anzi no, da oggi! - 2

E poi, vengono i giuristi, cittadini ed intellettuali che ogni 'albertosordo' ha in odio, come per ogni tipologia di Autorità, e vorrebbe zittire ad ogni costo...

Il veleno nichilista che anima il regime

da La Repubblica del 9 febbraio 2009, pag. 1

di Gustavo Zagrebelsky

Viviamo un momento politico-costituzionale certamente particolare. Questo non è in discussione, sia presso i fautori, sia presso i detrattori del regime attuale. Non sarà fuori luogo precisare che, in questo contesto, la parola regime vale semplicemente a dire - secondo il significato neutro per cui si parla di regime liberale, democratico, autoritario, parlamentare, presidenziale, eccetera - "modo di reggimento politico" e non ha alcun significato valutativo, come ha invece quando ci si chiede, con intenti denigratori espliciti o impliciti, se in Italia c`è "il regime". Ma che tipo di regime? Questa è la domanda davvero interessante. Alla certezza-viviamo in "un" regime che ha suoi caratteri particolari - non si accompagna però una definizione che dia risposta a quella domanda. Sfugge il carattere fondamentale, il "principio" o (secondo l`immagine di Montesquieu) il ressort, molla o energia spirituale che lo fa vivere secondo la sua essenza. Un concetto semplice, una definizione illuminante, una parola penetrante, sarebbero invece importanti per afferrarne l`intima natura e per prendere posizione. Le definizioni, per la verità, non mancano, spesso fantasiose e suggestive. Anzi sovrabbondano, a dimostrazione che, forse, nessuna arriva al nocciolo, ma tutte gli girano intorno: autocrazia; signoria moderna; egoarchia; governo padronale o aziendale; dominio mediatico; grande seduzione; regime dell`unto del Signore; populismo o unzione del popolo; videocrazia; plutocrazia, governo demoscopico. Si potrebbe andare avanti. Si noterà che queste espressioni, a parte genericità ed esagerazioni, colgono (se li colgono) aspetti parziali e, soprattutto, sono legate a caratteri e proprietà personali di chi il regime attuale ha incarnato e tuttora incarna.

Ed è una visione riduttiva, come se si trattasse soltanto di un affare di persone; come se, cambiando le persone, potesse cambiare d`un tratto e del tutto la trama della politica. Invece, prassi, mentalità e costumi nuovi si sono introdotti partendo da lontano; sistemi di potere e metodi di governo sono stati istituiti. Un regime non nasce di colpo, va consolidandosi e forse andrà lontano. È un`illusione pensare che ciò che è stato ed è possa poi passare senza lasciare l`orma del suo piede. La questione che ci interroga è quella di cogliere con un concetto essenziale, comprensivo ed esplicativo di ciò che di oggettivo è venuto a stabilizzarsi e a sedimentare nella vita pubblica e che opera e opererà in noi, attorno a noi e, forse, contro di noi. Se, parlando di regime oggi, è inevitabile che il pensiero corra a ciò che si denomina genericamente "berlusconismo", dobbiamo tenere presente che qui non si tratta di vizi o virtù personali ma di una concezione generale del potere che sì irraggia più in là. Colpisce che tutti i tentativi per arrivare a cogliere un`essenza giusti o sbagliati che siano-si fermino comunque ai mezzi: denaro, televisione, blandizie e minacce, corruzione, seduzione, confusione del pubblico nel privato e viceversa, impunità, sondaggi, eccetera. Ma tutto ciò in vista di quale fine? Proprio il fine dovrebbe essere ciò che qualifica l`essenza di un regime politico, ciò che gli dà senso e ne rende comprensibile la natura. Se non c`è un fine, è puro potere, potere per il potere, tautologia. Ma qui il fine, distinto dai mezzi, è introvabile. A meno di credere a parole d`ordine tanto generiche da non significare nulla o da poter significare qualunque cosa - libertà, identità nazionale, difesa dell`Occidente, innovazione, sviluppo, o altre cose di questo genere - il fine non si vede affatto, forse perché non c`è. O, più precisamente, il fine c`è ma coincide coni mezzi: è proteggere e potenziare i mezzi. Una constatazione davvero sbalorditiva: un`aberrazione contro-natura, una volta che la politica sia intesa come rapporto tra mezzi e finì, rapporto necessario affinché il governo delle società sia dotato di senso e il potere e la sua pretesa d`essere riconosciuto come legittimo possano giustificarsi su qualcosa di diverso dallo stesso puro potere. A parte forse l`autore della massima "il potere logora chi non ce l`ha", nessuno, nemmeno il Principe machiavelliano, ha mai attribuito al potere un valore in sé e per sé stesso. «Il fine giustifica i mezzi» è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se «i mezzi giustificano i mezzi»? E la crisi della ragion politica, o della politica tout court. È il trionfo della " ragione strumentale " nella politica. Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile, inafferrabile, incontrollabile, qualcosa all`occorrenza capace di tutto, come in effetti vediamo accadere sotto i nostri occhi: un giorno dialogo, un altro scomuniche; un giorno benevolenza, un altro minacce; un giorno legalità, un altro illegalità; ciò che è detto un giorno è contraddetto il giorno dopo. La coerenza non riguarda ì fini ma i mezzi, cioè i mezzi come fini: si tratta di operare, non importa come e con quale coerenza, allo scopo di incrementare risorse, influenza, consenso. Il politico adatto a questa corruzione della vita pubblica è l`uomo senza passato e senza radici, che sa spiegare le vele al vento del momento; oppure l`uomo che crede di avere un passato da dimenticare, anzi da rinnegare, per presentarsi anch`egli come uomo nuovo. È colui che proclama la fine delle distinzioni che obbligherebbero a stare o di qua o di là. Così, si può fingere di essere contemporaneamente di destra e di sinistra o di stare in un "centro" senza contorni; sì può avere un`idea, ma anche un`altra contraria; ci si può presentare come imprenditori e operai; si può essere atei o agnostici ma dire che, comunque, "si è alla ricerca"; si può dare esempio pubblico della più ampia libertà nei rapporti sessuali e farsi paladini della famiglia fondata sul santo matrimonio; si può essere amico del nemico del proprio amico, eccetera, eccetera. Insomma: il "politico" di successo, in questo regime, è il profittatore, è l`uomo "di circostanza" in ogni senso dell`espressione, è colui che "crede" in tutto e nel suo contrario. Questo tipo di politico conosce un solo criterio di legittimità del suo potere, lo stare a galla ed espandere la sua influenza. Il suo fallimento non sta nella mancata realizzazione di un qualche progetto politico. Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta d`arresto può essere l`inizio della sua fine. Non sarà più creduto. Per questo ogni indecisione, obbiettivo mancato o fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo. La corruzione e la mistificazione della dura realtà dei fatti e della loro verità è nell`essenza di questo regime. Il rapporto col mondo esterno corre il rischio di essere "disturbato". L`uomo di potere, di questo tipo di potere, non vede di fronte a sé alcuna natura esterna, poiché diventa ai suoi occhi egli stesso natura (naturalmente, lo si sarà compreso, si sta parlando di "tipo ideale", cioè di un modello che, nella sua perfezione, esiste solo in teoria). Abbiamo iniziato queste considerazioni col proposito di cercare una definizione che, in una parola, condensi tutto questo. L`abbiamo trovata? Forse sì. Non ci voleva tanto: nichilismo, inteso . come trasformazione dei fatti e delle idee in nulla, scetticismo circa tutto ciò che supera l`ambito (sia esso pure un ambito smisurato) del proprio interesse. Chi conosce la storia di questo concetto sa di quale veleno, potenzialmente totalitario, esso abbia mostrato d`essere intriso. Ciò che, invece, si fa fatica a comprendere è come chi tuona tutti i giorni contro il famigerato "relativismo" non abbia nessun ritegno, addirittura, a tendergli la mano.